mercoledì 4 marzo 2009

Le riflessioni di Mario La Cava sulla querelle relativa ai Bronzi di Riace


Nei giorni del dibattito sul trasferimento dei Bronzi di Riace, tanti intellettuali si sono espressi contro la decisione di spostare i guerrieri bronzei dalla loro sede nel Museo archeologico reggino.
Ma qualcuno, altrettanto autorevole, aveva lanciato l'allarme già quando, nell'84, si parlò dei Bronzi come ospiti di lusso delle Olimpiadi di Los Angeles (proposta poi rifiutata). All'epoca lo scrittore di Bovalino Mario La Cava si disse contrario e spiega il perché in questo testo, finora inedito, concesso al Quotidiano della Calabria dal figlio di La Cava e del quale riproponiamo un ampio stralcio. Parole critiche di grande lucidità intellettuale, che mantengono intatta la loro attualità.

Quelle di La Cava, scomparso nel lontano 1988, sono riflessioni che vanno al di là della conservazione delle opere d'arte, fornendo una più ampia analisi di cosa significa fruire di un bene culturale.


"Sembra che gli Eroi in bronzo, di Riace, siano stati fortunati se sono tornati alla luce dopo 2000 e forse più anni da quando erano finiti in fondo al mare. Sono stati fortunati anche per essere stati restaurati dai maestri di Firenze in modo impeccabile. Ora riposano in una sala del Museo Nazionale di Reggio Calabria, illuminati a giorno, e a temperatura costante, al fine di una conservazione che i secoli non potrebbero intaccare.

Ma saranno altrettanto fortunati, se saranno costretti a intraprendere un viaggio turistico in America per allietare gli atleti e il pubblico di Los Angeles, nei prossimi giochi olimpici? Alcuni politici non avrebbero dubbi sull'utilità del viaggio. Quanto onore non sarebbe ricaduto sugli Eroi! I calabresi potrebbero negarlo, se tengono di conto le loro glorie?

Io sono del parere che si possa fare altrimenti. Lo hanno pensato molti autorevoli intellettuali del nostro paese, e spero di altri paesi, tra i quali non dovrebbe mancare quello maggiormente beneficiato dall'eventuale visita degli Eroi. Il loro discorso si fonda in sostanza sulla constatazione che le opere d'arte godono meglio nei luoghi dove sono custoditi, e che a portarle in giro la suggestione estetica sarebbe compromessa.

In altri termini, il pellegrinaggio propagandistico sarebbe una profanazione. Il godimento estetico dei pochi sarebbe sostituito dall'ammirazione spettacolare dei molti che confonderebbero le belle forme della vita nei giochi olimpici con quelle astratte dell'arte che i grandi artisti hanno creato.

Inversamente, i componenti impediti dalla loro povertà a ricercare le opere d'arte nei luoghi dove fossero custoditi, ne godrebbero sufficientemente attraverso le riproduzioni fotografiche che specie per le sculture sarebbero di grande giovamento a tutti.

Le opere d'arte non potrebbero essere portate in tutti i luoghi della terra dove ci fossero ammiratori competenti; ma dovrebbero essere questi, a raggiungerle, senza gli ostacoli provocati dall'intolleranza e dalla inimicizia dei popoli.

Credo però che tra i tanti argomenti considerati a sconsigliare i viaggi turistici delle opere d'arte, si sia trascurato quello che oggi sarebbe il più importante: la pericolosità della propaganda pubblicitaria. Più un'opera d'arte viene esaltata a livello delle masse, a torto o a ragione, maggiore è il pericolo che essa possa subire attentati terroristici.

Siamo in un momento storico in cui il disagio della convivenza arma la mano dei dissennati, contro tutti e contro tutto, nella pretesa di destabilizzare l'ordine costituito per crearne un altro che sia migliore. Sarebbe migliore per definizione, in quanto gestito da loro, come ironicamente annotava Dostojevski nei Demoni.

I nichilisti di quel tempo avevano orrore della Madonna Sistina del Museo di Dresda. Si ponga
mente ai futuristi italiani che vagheggiavano la distruzione dei musei, non solo la chiusura di essi, per creare l'arte nuova depurata dai riflessi culturali del passato.

Non mancherebbero quindi i teorici che, in ogni caso, saprebbero dibattere le loro idee per
cambiare il mondo. Io stesso sono testimone di discorsi incredibili ascoltati a Milano, da parte di laureati, ai corsi abilitanti per l'esercizio della loro professione; e con quei discorsi sono stati abilitati.

Scendendo al concreto, consideriamo quello che è capitato alla Deposizione di Michelangelo, in San Pietro, che al ritorno da un viaggio piuttosto avventato negli Stati Uniti, dove aveva suscitato
delirio di entusiasmi, è stata affrontata da uno scultore pazzo e deturpata a colpi di martello. Per secoli era rimasta intatta nella sua solitudine. E' bastata la "provocazione" di quel viaggio perché la mano di quell'artista mancato si armasse di un martello per compiere la sua vendetta.

Ma nel caso degli Eroi di Riace la "provocazione" di un loro viaggio propagandistico sarebbe più complessa e pericolosa. Gli Eroi non hanno dietro di sé una tradizione consistente di lodi, che l'abitudine avesse reso pacifiche, al contrario della deposizione ferma nella sua gloria. Sono balzati troppo all'improvviso all'ammirazione universale, per effetto del ritrovamento eccezionale e della pubblicità massiccia, perché il loro successo, non convalidato da prove indubbie di attribuzione
critica, non provocasse dubbi allarmanti in coloro che si sono assunti il compito di difendere a qualunque costo il nostro tempo.

La loro maestosa bellezza, alla quale ancora oggi vanno i consensi delle folle, potrebbe scalzare le posizioni dell'arte moderna, ben munita, ma non imprendibili, se la loro difesa consiste soprattutto nell'assenza dei confronti.

Sul disagio nascente da tale situazione si potrebbero inserire coloro che avessero interessi personali da difendere. Il dispetto per un'arte considerata superata, e quindi disprezzabile, si potrebbe unire paradossalmente al sospetto che essa sia l'unica da far valere anche nel mondo di oggi.

L'odio di coloro che si fossero esclusi da sé dal mondo umano, potrebbe trascinare all'odio per i suoi risultati artistici. Tolti di mezzo i confronti, l'arte, con gli interessi concreti che riassume, potrebbe continuare il suo cammino disumano.

Ecco perché l'eccessiva divulgazione da quelle opere d'arte che sono esemplari per la loro eccellenza e per i principi che le informano, come gli Eroi di Riace, può essere pericolosa alla loro conservazione. Riserviamole alla comprensione degli intenditori e degli amatori con prudenza,
con rispetto. Anche quelli che non potessero vederli nella loro realtà sensibile, non sarebbero danneggiati dalla loro esistenza.

Tutti invece sarebbero danneggiati dalla loro scomparsa, se per nostra negligenza accadesse".

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