lunedì 22 settembre 2008

L'arte della pubblicità nel ventennio fascista


L'archivio "Massimo & Sonia Cimili" di Bologna (ma ha una sede anche a New York) è ritenuto il custode della più vasta e importante collezione di manifesti esistente in Italia. Ad esso attinge quella che si presenta come la più ampia esposizione allestita su un momento determinante nella storia della nostra comunicazione: la mostra "L'arte della pubblicità" inaugurata sabato 20 settembre a Forlì, nei Musei di San Domenico, dove resterà aperta fino al 30 novembre.

"Il manifesto italiano e le avanguardie. 1920-1940": questo il tema della rassegna che
fornisce una panoramica di due decenni - spiega la curatrice Anna Villari - dominati in tutta Europa e in America dalle sperimentazioni di forme artistiche, in "una varietà di linguaggi e di
soluzioni che per la prima volta vanno incontro alle nuove esigenze della comunicazione di massa, della propaganda, della diffusione del mercato".

In tale contesto il manifesto assume un ruolo di assoluta preminenza, tra l'altro divenendo il principale tramite - peraltro quello preferito dagli operatori economici e dalla gente - di una nuova immagine dell'Italia che si vuole "dinamica, veloce, arguta" quando si tratta di lanciare ,o sostenere prodotti o servizi e "sicura e assertiva" nel caso della grafica di propaganda politica.

Due linee d'azione che ben s'inquadrano nel periodo particolare vissuto dal nostro Paese: siamo nel Ventennio fascista, caratterizzato dall'ascesa al potere e dal consolidamento della dittatura di Mussolini e nello stesso tempo da un impulso notevole dato all'industrializzazione (segnata dalla crescita di imprese quali Fiat, Olivetti, Campari) e, soprattutto, alla creazione e allo sviluppo dei
nuovi miti, in testa quello di un'Italia moderna e grande, immagine decisamente funzionale alle ambizioni del regime.

Sono intorno a duecento le opere esposte, firmate da oltre sessanta autori: quanto basta per dimostrare come il mondo dei messaggi pubblicitari affidati alle affissioni sia riuscito in quegli anni a riscuotere interesse, soprattutto all'interno delle correnti artistiche emergenti. Cosicché quello dei manifesti si rivela anche un affollato campo di ricerca, nel quale si immergono artisti fra i più significativi del nostro Novecento. Come i futuristi Balla, Depero, Prampolini, Tato; il padre del monumentalismo e del muralismo, Sironi; talenti di livello internazionale quali Caria Albani (raro caso, a quell'epoca, di cartellonista donna), Atla, Bertelli, Boccasile, Brunelleschi, Busi, Cappiello, Carboni, Chelini, Di Lazzaro, Diulgheroff, Dudovich, Martinati, Mondani, Munari, Pluto, Seneca, Sepo.

I loro lavori sono distribuiti nelle cinque sezioni in cui è articolata l'esposizione: "Richiami classici e nuovi modelli: la donna e l'uomo moderni"; "La meccanizzazione e il gioco della figura umana"; "Velocità"; "Volo", "Astrazione della forma".

Le varie sezioni non si limitano, comunque, solo a proporre manifesti, ma ospitano altresì opere di genere diverso, come pubblicazioni editoriali celebrative d'epoca, bozzetti (anche di monumenti) e altri materiali (a partire da 27 figurazioni grafiche di Munari per "il Cantastorie di Campari" e i disegni di Widt per l'Opera nazionale orfani di Guerra), destinati a celebrare o a tramandare le scelte del regime e le "Italiche Virtù" sulle quali esso insisteva.

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