venerdì 26 giugno 2009

Provocazione umana

Hagackure oltre ed essere stato definito uno dei progetti più innovativi sicuramente è stato indicato anche come uno dei progetti più provocatori.

Sicuramente il nostro linguaggio rompe “determinati” schemi, l’introduzione di codici hacker illegali, simboli e richiami subliminali, battiti binaurali, abbiamo usato di tutto per far prevalere la parte emotiva piuttosto che quella razionale.

Oltre allo stile siamo stati criticati per i significati, non è facile trattare attraverso l’arte determinate problematiche o frustrazioni.

L’arte è sicuramente provocazione, ma la nostra è anche un provocazione denuncia, costruttiva, un’autodiagnosi.

In quest’occasione non vorrei parlare della provocazione artistica, delle provocazioni che fanno quotare le nostre opere, nonostante sia una tematica richiesta da vari art promoter e da tutti aspettata, e nemmeno della nostra ricerca espressiva, avremo modo di farlo durante il giorno, ma semplicemente introdurre un blog, quello di Veggie, il blog d’Italia più letto per determinate problematiche legate ai disturbi alimentari.

Lei, naturalmente, ha capito alcune delle provocazioni di “the first fall” ecco l’articolo di oggi di Veggie su http://anoressiabulimiaafterdark.blogspot.com di seguito il commovente commento al video.

Grazie Veggie, noi siamo il simbolo che se non ci si arrende si può fare arte, tu sei il simbolo che se non ci si arrende si può VIVERE. Grazie

Ecco il commento al notro lavoro "the first fall":

Un video che tocca. Sì, è stata questa la prima cosa che ho pensato: un video che tocca. Che poi, è tutto quello che conta, no? Niente attori o musiche da premio oscar, che fanno tanta apparenza quanto poca sostanza, ma qualcosa d’infinitamente più semplice ed innegabilmente più vero. Un video che in poco più di tre minuti racchiude l’essenza dei DCA. Solitudine. Vuoto. Dicotomia. Ossessione. Distorsione. Ritualità, ripetizione. E ancora solitudine.

Mi ha fatto male questo video, perché la sua essenza è stata la mia e lo è tuttora, perché mi spaventa la convinzione che l’anoressia non è un qualcosa che il solo corpo può dimostrare, ma che sia una condizione mentale che ha molto a che fare con l’immobilità e si scontra con la mobilità del corpo, che è quello che gli altri vogliono vedere. L’anoressia è una stanza. Ed è innegabile che una volta aperta quella porta così tremenda non si possa richiudere più, che di fronte agli ostacoli della vita si finisce sempre là, incapaci sia di vivere che di morire, sul limbo. Si può cercare di lottare, poi, certo, ma si porta sempre dentro la terribile bilancia mentale che opera anche quando si tenta di costruire qualcosa di diverso. Si pensa sempre che sia una scelta. Eppure la paura non è una scelta. Può essere una scelta, semmai, il modo di affrontarla. L’anoressia non è un delirio di onnipotenza come tanti dicono, ma di impotenza. Ci si sente impotenti di fronte a tutto e si restringe l’alimentazione perché resta il corpo come unico “oggetto” da manipolare, come unica arma da scagliare in faccia a volti disorientati per chiedere disperatamente un aiuto. Chi si trova nell’anoressia ama la vita, ma non la conosce. È ovvio che la ami semplicemente perché farsi così male serve paradossalmente per difendersi, e difendersi è di per sé un atto di amore. L’anoressia non è follia come spesso la TV vuol far credere. Nessuna anoressica è veramente pazza. Forse si vorrebbe tanto esserlo, si vorrebbe davvero che fosse davvero così semplice, che bastasse la pasticchina, essere sbagliate, punto, un errore clamoroso, il tumore di una società malata. Ma più ci si guarda intorno, più ci si accorge che i pazzi sono quelli che stanno fuori dalla stanza dell’anoressia. Una persona anoressica ama la vita perché si uccide per proteggerla, per preservarla dalle mani di chi la voleva maciullare, devastare, violentare, distruggere, spezzettare, mordere.

C’è qualcosa di paradossale nell’anoressia se si mettono insieme un po’ di cose. Intanto, come il video mostra, questo trattenere senza stringere (ma forse sarebbe meglio dire contenere) è ciò che manca. Manca il contenitore di certezze dove molti navigano e sopravvivono. Non ci si sente mai contenute da nessuno e da nessuna cosa, ogni pensiero lo si mette in discussione, lo si ribalta, lo si disintegra e capovolge, facendo sì che mai nulla rassicuri. Come ci si volta si vede che c’è chi ama gongolarsi nel suo mondo e stare con gli occhi aperti unicamente su ciò che conferma quel personale universo… Si sente dire “ho tutto”, e si percepisce dietro questa frase (e questo manda in bestia) “ho tutto giusto”. E l’anoressica dice “non ho niente, e il niente è sbagliato”. Però… però. C’è un però. E’ presunzione. Tanta presunzione, forse quasi più di quella che mostra chi dice “ho tutto giusto”. Presunzione perché l’anoressia è un silenzioso grido a questa entità con un occhio solo e milioni di volti (che chiamiamo “gli altri”) che sono un branco di illusi, che sono loro i pazzi, che noi abbiamo visto qualcosa che la loro retina non codifica… però poi a distruggersi siamo noi. A inciderci lettere indelebili sulla pelle prendendo ciò che resta del corpo come un manifesto pubblicitario siamo noi. Ad espiare il peccato di vivere siamo noi, e siamo sempre noi a sentire la vita come un peccato terribile. Non avendo contenitori esterni, sentendo tutto come un’illusione, sentendo anche il semplice sentire come qualcosa di mostruoso, distruggiamo un corpo che non sappiamo dove piazzare. E così lasciamo che anche “gli altri” non sappiano dove piazzarci. Lasciamo che ci rileghino tra la feccia del mondo, sul bordo di quel contenitore più grande che è l’immaginario collettivo, al limite della credibilità, né vive né morte, né invisibili né evidenti. E qui la volontà non risponde. L’anoressia, quello che sembra conferirci la possibilità di governarci e l’onnipotenza, ci governa in misura spietata. Si finisce per non comandare più nulla. L’illusione d’onnipotenza scivola via, lascia l’impotenza al suo posto. Eppure, nel momento in cui guardo questo video martellante, nel momento in cui l'immagine finale sfuma, comincio a pensare che ci sia altro. Altro oltre a tutto questo dolore che anche nel video viene mostrato e che purtroppo diventa l’unico contenitore possibile, che però risulta essere una trappola diabolica. L'anoressia è presunzione. Presunzione perché si crede che un fondo ci sia e si vuole conoscere tutto fino alla fine. Ma una fine non c’è. Perché per quanto il corpo possa essere uno sputo, si sprofonda all’infinito dentro noi stesse.

Quello che rimane? La lotta. Ma lotta, la lotta che intendiamo, non è quella propugnata dall'anoressia. La lotta che intendiamo è la quotidiana accettazione della nostra bellezza disarmonica contro mille e poi mille resistenze. È la corsa forsennata verso farfalle che non si lasciano acchiappare. Tra pietre e farfalle, pur di avere “qualcosa subito”, si possono raccogliere pietre all’infinito, riempirsi di immobilità e di morte all’infinito, in fondo sono più accessibili, non volano via, sono molto più rassicuranti. Ma la vita è qualcosa che sguiscia, che vuole essere inseguita, è qualcosa di leggero e fragile, solo sfiorarle un’ala può comportare la fine del suo volo. Eppure la morte non riempie mai. Lascia un vuoto simile al buco allo stomaco. Credo che sia la vita ciò di cui si ha fame.

E questa è la conferma che c’è altro. C’è questo video. C’è il bisogno di farci sentire perché non siamo sole nella nostra solitudine tremenda che viene stereotipata, che viene vista come una moda. C’è un’infinità dietro le nostre ossa. E lo dico con tutta la paura possibile e metto in chiaro quanto ancora continui a pesare ogni alimento, a tremare di fronte all’olio, a evitare quanto più possibile i dolci, a piangere in bagno mentre fuori c’è chi ride, c’è chi ride sempre. In questo video c’è amarezza e dolcezza insieme. Ha il sapore del caffè. È amaro eppure buono… e soprattutto è necessario, è necessario per svegliare chi vive con gli occhi chiusi ed ha paura di vedere ciò che noi abbiamo visto.

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