martedì 20 marzo 2012

Le forme di cui sono fatti i sogni - Teatralità dell’Immagine

Presentazione del Libro Fotografico di

Sebastiano Messina


Le forme di cui sono fatti i sogni - Teatralità dell’Immagine
prefazione di Carlo Fabrizio Carli
Heliopolis Edizioni

21 ottobre 2011 Biblioteca SANDRO ONOFRI Via Lilloni, Acilia

a cura di Livia Compagnoni

Il 21 ottobre 2011 presso la Biblioteca Sandro Onofri, Via Umberto Lilloni 39 / 45 di Acilia, ho avuto il piacere di presentare il Libro Fotografico di Sebastiano Messina dal titolo “Le forme di cui sono fatti i sogni” sottotitolo “Teatralità dell’ Immagine”.

Già il titolo di per se stesso ci rimanda ai versi celeberrimi di William Shakespeare ne “La Tempesta” (atto IV°, I, 156) pronunciati da Prospero : “Noi siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni” che così prosegue : “E nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita”.

Il titolo propone un insieme di elementi che lascia spaesati su quale sia il confine tra realtà e irrealtà. Lo stato di veglia non è anch’esso un sogno? oppure è il sogno ad essere appendice dello stato di veglia?

Questione che rimane comunque irrisolta poiché nelle fotografie di Sebastiano Messina, non troviamo la risposta ma solo il quesito. La“sostanza”, luogo di riferimento della materia è linguaggio simbolico esclusivo della persona, non codificabile, che sogna e la nostra breve vita è avvolta nel sonno. La materia è termine che appartiene a ciò che interagisce con noi, luogo dell’azione, e il sogno è indicazione, rivelazione, coinvolgimento, il sogno sembra essere il nostro riferimento reale, noi siamo il sogno, è come se i sogni fossero tangibili, forme che agiscono su piani e dimensioni sospese, esseri ed energie che nel sogno vivono l’interscambio continuo.

Scorriamo insieme le foto cercando di ri-percorrere lo stesso viaggio onirico e mentale di Sebastiano Messina, restituendo alcuni dati analitici.

Il risultato di questo accostamento fra forma e rappresentazione, origina un accostamento fra lettura e osservazione. Accostamento fuori luogo dato che l'uno tende a contraddire l'altro creando un “cortocircuito visivo”fra le due grandi facoltà della percezione visiva: leggere e vedere.


Epoché



Delineare lo statuto della soglia in quanto “indice”, “condizione di” possibilità della rappresentazione e “fulcro” percettivo dei suoi contenuti, contribuirà a tracciare alcune possibili figure.

La posizione “liminare” e la funzione di cesura tra due diverse forme di realtà, il mondo fenomenico e la rappresentazione pittorica, fanno della porta un oggetto estremamente ambiguo in quanto "luogo, o non-luogo”, di un'articolazione mai semplice, mai data una volta per tutte, tra lo spazio dell'opera, “che sarebbe il di dentro” della rappresentazione, e lo spazio dello spettatore, “che sarebbe il di fuori”. Ambiguità che viene inoltre accresciuta dal fatto che la cornice della porta, sembra esercitare la sua massima funzionalità come centro d'aggregazione, coerenza percettiva dell'immagine, nel momento stesso in cui si cela e si nasconde come limite.

Si può descrivere come una lacuna continua che distacca il disegno dal suo intorno. Poco importa il modo nel quale la discontinuità si realizzi; può essere costituita da un contrasto di forma o di colore, da un mutamento di direzione, o persino da uno spazio vuoto. Basta che l'osservatore sia allertato da una “netta rottura della regolarità”,che funzionerà come barriera e che indicherà una zona che valga la pena di esaminare, e lo farà tanto più efficacemente quanto più semplice ne sarà la forma.

Limite di Trascendenza














In tutte le culture, la porta-soglia, assume un significato di grande spessore psicologico, poiché esprimendo il valore dinamico del passaggio, da un luogo o da uno stato all’altro, invita a superarlo.

Molte sono le allegorie in cui la porta è ‘segno’ di un’altra realtà, qualunque sia la posizione o condizione, la porta è un’apertura che permette di entrare o di uscire, comunque pone e si pone come un problema che deve essere affrontato.

Problema universale, espressivo del passaggio in quanto appartiene ad ogni uomo che interroga se stesso e il significato di questo transito.

Al limite della chiusura

Il rapporto tra interno-esterno viene presentato in tutta la sua ambiguità percettiva dove una porta, sembra isolare una porzione di spazio all'interno dell'immagine. A una lettura attenta si nota però la presenza significativa di un segno grafico – una freccia nera – a dx del margine verticale della cornice. Con questa piccola intrusione Messina, stimola uno sconcertante ribaltamento percettivo, obbligando lo spettatore a una radicale rilettura della fotografia : quello che sembrava lo sfondo dell'immagine balza ora prepotentemente in primo piano, presentandosi non più come porzione di paesaggio incorniciato, bensì come enunciato figurale compiuto. Tra questo enunciato interno alla rappresentazione e il paesaggio che gli fa da sfondo esiste un ambiguo ma solido terreno di comunicazione: la contiguità della linea dell'orizzonte e del cielo.

Le tradizionali coordinate di lettura dell'immagine sono esibite con meticolosa precisione al fine di essere sistematicamente smentite.


Spetzes
 

Nelle foto con aperture che si aprono (anta della porta rossa) è l’artista a sdoppiarsi, mettendo se stesso, e la propria opera, nella situazione di ricezione. In entrambi i casi, i limiti dell'immagine vengono forzati. I rispettivi ruoli del fotografo e di chi guarda si suppongono intercambiabili, in un modo o nell'altro.

Il tema del "quadro nel quadro" è proposto attraverso l'esibizione di una realtà e di uno spazio racchiusi strettamente entro i confini della rappresentazione. L’anta della porta aperta, introduce l'immagine, rivelata o svelata dall'apertura della porta stessa, di natura completamente differente rispetto al paesaggio che le fa da sfondo. Tuttavia i diversi piani della rappresentazione sono in comunicazione tra loro.

L'ambiguità tra i confini dell'immagine, l'interscambiabilità dei diversi piani della rappresentazione, il carattere paradossale e ambivalente dello stesso oggetto-manichino-bambina è estraneo ma al tempo stesso coerente e contiguo al modo dell'enunciato rappresentato, paese delle meraviglie il più fantastico dei sogni, il viaggio di Alice, vale a dire il regno dell’immaginario

Limine









In questa foto, una porta che non c’è, sfonda la parete divisoria tra due ambienti, tra due spazi. Rappresenta un limite meno categorico rispetto alla finestra, la quale separa 'cultura' e 'natura', mentre la porta si limita a costituire uno iato nel mondo della cultura .

Porta, come soglia di ingresso e diaframma di passaggio alla rappresentazione e ai suoi codici costitutivi; porta come via d'accesso alla riflessione sull'immagine. Il motivo della porta viene utilizzato come "metodo di autodefinizione della rappresentazione di interni“, riprende ed enfatizza la funzione interpretativa del toposdella porta utilizzandolo per sottolineare il "carattere dialogico" dentro-fuori dei diversi piani dell'immagine.

Rispetto alla tradizione che attribuisce alla figura centrale il ruolo di "guida" all'immagine, qui è l’immagine in primo piano, apertura nella parete, che invita a oltrepassare con lo sguardo la soglia chiusa dietro la quale è inscenata la rappresentazione vera e propria.

Come indice e soglia dell'ingresso nel mondo della rappresentazione, la prima apertura nella parete, deve necessariamente porsi come linea di demarcazione tra immagine e l’immagine della porta chiusa sullo sfondo, come tessuto connettivo tra due spazi assolutamente distinti deve poter stabilire una congiunzione di pertinenza interna all'enunciato rappresentato.

Proprio per questa sua natura liminare, la porta assume un ruolo chiave all'interno dell'indagine sullo statuto dell'opera d’arte e sui margini della rappresentazione, presentandosi come il "cardine" attorno al quale ruota la riflessione sui meccanismi di produzione illusionistica delle immagini.

Epiphania









Nella fotografia Epiphania, Messina, ci presenta l'immagine interna di una stanza. Una piccola finestra quadrata, semiaperta incornicia il sole che illumina il mondo esterno. C'è molto da dire su questa fotografia, in particolare attraverso la creazione elegante di zona di luce e di oscurità estrema, attraverso la giustapposizione di profili scuri, senza spessore (la cornice dell’immagine religiosa) proiettati su uno sfondo immerso nel buio, veniamo rimandati alla percezione di quello che potrebbe essere un catalogo di autodefinizioni, una composizione complessa in cui è mostrato ciò che è, per sua natura, la fotografia.

A sinistra, appesa alla parete, si trova una immagine incorniciata, provvista di vetro che, come se si trattasse di uno stesso cliché, restituito da uno specchio, ci rimanda parte della finestra, aperta, con il suo parziale raddoppio sulla parete.

Inserita nella fotografìa si trova una dimostrazione della riproducibilità che è al centro del processo fotografico e che si ripercuote sull'immagine che abbiamo sotto gli occhi. C'è naturalmente la luce, come fonte di visibilità da cui dipende la fotografia. C'è poi la finestra stessa, mostrata sotto forma di anta-cornice, aperta sulla scena, apertura che permette alla luce di entrare.

Essendo questione di simboli, risulta evidente che ci troviamo di fronte a un otturatore : l'apertura meccanica che permette alla luce di penetrare nella camera oscura della macchina fotografica.

Abbiamo una costellazione di segni, per mezzo dei quali l'immagine rimanda al procedimento che è all'origine del suo essere specifico e che la definisce.

Questo aspetto è il riconoscimento del taglio della realtà, del fatto che la fotografia riproduce il mondo, ma lo fa per frammenti. Una fotografia è ritagliata, non necessariamente da forbici o da cornice, ma dalla macchina fotografica stessa. La macchina, in quanto oggetto, taglia una porzione di campo infinitamente più grande. Una volta ritagliata la fotografia, il resto del mondo è eliminato dal taglio. La presenza implicita del resto del mondo e la sua espulsione esplicita sono aspetti fondamentali della pratica del fotografo quanto ciò che egli mostra esplicitamente.

Roma 12 marzo 2012 ( Livia Compagnoni )

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