lunedì 13 agosto 2007

Video della mostra "Io,Domitilla" di Aniello Scotto

Vita e morte di Domitilla, meretrice e signora di Pompei, in una Hiroshima di duemila anni fa.

Marco Nocca

Non so perché, ma la descrizione della catastrofe di Pompei di Plinio il Giovane nella Lettera a Tacito mi ha sempre fatto pensare ad Hiroshima: “molti chiedevano aiuto agli dei, ma i più immaginavano che anche gli dei fossero scomparsi, e che l’universo fosse piombato nell’oscurità eterna per sempre ”. La potenza del Male, il buio della ragione umana, l’idea che la divinità stessa possa dissolversi di fronte all’indicibile orrore sono temi che ritornano anche in questa mostra dell’artista Aniello Scotto (Napoli,1959): “Io, Domitilla” è la voce, ancora parlante, di una protagonista di quella Hiroshima di duemila anni fa.

Condensando i motivi portanti e la poetica dei suoi lavori più recenti, in una sorta di operazione alla Yourcenar, di ricostruzione chirurgica della memoria attraverso la scrittura, Scotto evoca la protagonista della sua ispirazione, Domitilla, meretrice della città vesuviana, figura conosciuta per la prima volta attraverso i magnifici calchi ottocenteschi delle figure imprigionate dalla lava a Pompei. Come rivelato dall’artista, è Domitilla che un giorno,nel mistero, si è presentata a lui dalle profondità del tempo,offrendogli l’emozione di un incontro con la Storia: una storia individuale, fatta da chi racconta, e recepita da chi sa ascoltare. “La vita della donne è troppo limitata, o troppo segreta”- scrive la Yourcenar negli appunti elaborati per le Memorie di Adriano- “Tutto ci sfugge. Tutto. Anche noi stessi. Conosco la vita di mio padre meno di quella di Adriano. La mia stessa esistenza, se dovessi raccontarla per iscritto, la ricostruirei dall’esterno, a fatica, come se fosse quella di un altro”. Uno sforzo prepotente di ricollegarsi alla verità del suo personaggio,infrangendo le barriere della segretezza del ricordo individuale, scavalcando le montagne del tempo: come la scrittrice belga in Memorie di Adriano affida alla scrittura questo compito immane, Aniello Scotto, artista di fresca maturità, investe il disegno di questa responsabilità, lo rende strumento di una Memoria che non è una musa della nostalgia,ma una forza creatrice reale, costruttiva, capace di imporre e rendere credibili le sue visioni Ed ecco,nella bella sanguigna scelta per il logo della mostra, affiorare l’immagine di Domitilla; ecco, racchiuse negli olii, schegge di verità quotidiana di quei luoghi pompeiani (interni, tavole imbandite, figure guizzanti nella luce) riemergere dagli abissi del tempo, in una dimensione che Scotto volutamente rarefà nell’evanescenza delle figure - sospese su una soglia che delimita apparire e svanire,trasparire e occultarsi,prender forma e dissolversi - per significare l’incombere tragico di un destino di distruzione e morte, prossimo a spazzare ogni traccia di vita con la furia distruttrice di una catastrofe naturale. Immagini classiche, di sapienza disegnativa, a lungo costruite nell’esercizio dello studio, ma originali e moderne nella composizione: tali appaiono i disegni a sanguigna e bistro, evocativi degli ‘ultimi giorni di Pompei’,quasi un mito pagano della dannazione. Le giornate di Domitilla prima della fine sono popolate di personaggi che la accompagnano (il fauno,le compagne, i giovinetti): velate da una dimensione lirica di idillio, di sogno non più raggiungibile, le figure qui si pongono nello spazio con un segno di salda presa: si comprende il motivo della stima e degli incoraggiamenti espressi da Pietro Annigoni al giovane Scotto, e rivolti al suo talento di disegnatore. Ma è nelle incisioni (acquaforte e vernice molle) che la ricostruzione dell’artista sa dirigersi verso la coerenza di una forma assoluta, saldando il rigore espressivo all’atmosfera infernale di quell’evento straordinario: la scelta di una tonalità unica (il rosso dominante), una corrispondenza serrata tra quelle forme vuote dei calchi,lasciate dal disfacimento della materia organica dei corpi nella lava indurita, e le figure scavate nei solchi della matrice, rendono le scene pregne di un dramma unanime,che investe l’uomo e la natura. I corpi si avviano a diventare ombre, ombre infuocate: e sono forse proprio queste le immagini che riconducono la mente a quegl’ uomini (essi pure soltanto ombre sui muri,ormai) disintegrati dalla bomba atomica ad Hiroshima e Nagasaki.



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