martedì 17 luglio 2007

Giudizio Universale Cappella Sistina


Su commissione da parte di papa Clemente VII e Paolo III Farnese, Michelangelo Buonarroti affrescò, tra il 1536 e il 1541, la parete di fondo della Cappella Sistina, di cui aveva già affrescato la volta (tra il 1508 e il 1512). Il periodo storico è quello della frattura tra la Chiesa cattolica e la Chiesa luterana, che deludono le speranze di dialogo di cerchie d'intellettuali, delle quali, tra le altre, faceva parte anche Vittoria Colonna, a cui l'artista era legato da profonda amicizia.

Liberatosi del tradizionale schema iconografico di Cristo in trono tra le schiere celesti di angeli e santi e tra gli eletti e i dannati, Michelangelo affronta da solo il tema penitenziale del "Giudizio Universale" ricorrendo, per altro, a poche fonti (Bibbia e Divina Commedia) e secondo la personale visione della storia umana connessa al problema della Salvezza e della Grazia.

Il gesto imperioso del possente Cristo Giudice è motore di un vorticoso movimento rotatorio ascendente e discendente, che unifica gruppi disarticolati di figure. L'artista stravolge ogni regola compositiva classica. Rinuncia all'inquadramento architettonico, al sistema prospettico e proporzionale rinascimentale vincolato a un punto di vista.Afferma un impianto libero da limiti e definizioni: non determina alcuna profondità, ma segna il moto ascendente con il progressivo schiarirsi del cielo verso l'alto. Annulla la parete, crea un vorticoso dinamismo centrifugo di gruppi di figure, avanzati o arretrati. Alla figura umana assegna un valore assoluto: le dimensioni delle quasi 400 figure variano da 250 centimetri nei registri superiori a 155 centimetri in quelli inferiori, non tanto per compensare la deformazione ottica della visione dal basso, quanto per isolare ed evidenziare le singole realtà esistenziali di fronte alla inesorabilità della Legge.

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